Se per curiosità provaste ad inserire la keyword “Big Data” in Google Trends localizzando la ricerca negli Stati Uniti, il tool vi mostrerebbe una curva in discesa nell’arco degli ultimi anni. Un andamento che ha già spinto molti a chiedersi se l’era dei Big Data non stia volgendo al termine. Se così fosse, qual è il futuro dei dati?
La capacità di analizzare un volume enorme di informazioni ha spianato la strada al dominio dei social media e dei colossi dell’informazione digitale. Le tecniche che vanno sotto il nome di Big Data hanno permesso di raccogliere, governare e analizzare enormi quantità di dati, diventando un’attività fondamentale per le aziende leader del mercato tecnologico in primis, espandendosi poi a tutti i settori industriali.
Tutto è cominciato quando Apache Hadoop è apparso sul mercato, nel 2006. Sviluppatori e data architects hanno presto compreso come questo strumento gli permettesse di gestire dati multi-strutturati e/o semi-strutturati. Un’enorme quantità di informazioni, che prima veniva conservata in archivi statici e rischiava di non essere sfruttata a dovere (se non addirittura persa), è improvvisamente diventata significativa (all’inizio, principalmente per comprendere il comportamento degli utenti finali).
Tool come Hive, Dremel e Spark sono allora apparsi sul mercato per lavorare “on top” di Hadoop e rispondere alle esigenze quotidiane delle grandi aziende, sempre più affamate di informazioni significative da estrarre dai loro “data lakes”. Tra il 2018 e il 2019 abbiamo visto esplodere realtà specializzate in capacità di analisi (ClearStory Data, Qlik, Tableau), data pipeline (Alooma, Alteryx), e data integration (MuleSoft, SnapLogic), spesso poi acquisite da grandi player di mercato.
Allo stesso tempo, il valore dei dati ha spinto le imprese a cercare nuove fonti da cui estrarre informazioni. Si sono così moltiplicate le sorgenti di dati, e la necessità di aggiornare rapidamente gli schemi e le query per rispondere a nuove applicazioni, il tutto strizzando l’occhio ad infrastrutture Cloud-native. L’esempio principe è l’IoT e gli innumerevoli sensori che possono essere collegati alle macchine. Non sono più solo gli utenti a produrre dati significativi, ma anche le macchine stesse, da quelle che compongono le catene di montaggio ai veicoli in strada, fino agli oggetti che usiamo ogni giorno.
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Il bisogno di dati, sia per alimentare algoritmi di machine learning che per permettere a servizi sempre più reattivi e veloci di funzionare, ha imposto best-practice e standard de facto quali la “continuous delivery” e la “business continuity”. “There’s an App for that” significa migliaia di progetti SaaS, usati in contemporanea da utenti di ogni tipo, con una richiesta incessante di dati in ingresso ed in uscita. Per rispondere a queste necessità sono nati nuovi sistemi di storage e architetture a microservizi che garantissero affidabilità e scalabilità orizzontale immediata e on-demand, in un mondo di soluzioni che si basano spesso sul paradigma Multi-Cloud. La grande costante: tutto deve avvenire in tempo reale.
È l’era del Real-Time e del Ubiquitous Context, in cui le applicazioni necessitano di flussi di dati sempre freschi, qualsiasi sia la finalità, aggregando e correlando fonti differenti: questo permette di costruire e comprendere il reale contesto dei dati raccolti.
Nell’ambito IoT, ad esempio, i dati riguardano sia i macchinari che gli utenti stessi, ma esprimono il massimo del loro valore quando considerati assieme per costruire il contesto in cui debba essere presa una decisione, in tempi brevissimi, per permettere reazioni (umane o automatizzate) efficaci.
Dalle conversazioni sui social network alle rilevazioni da sensoristica IoT, numerosi gigabyte di dati possono nascondersi dietro ad una comunicazione sintetica per l’utente finale, come “attenzione, c’è un pericolo più avanti” o “ecco un’offerta speciale per te”.
I Big Data non sono arrivati alla fine, si sono piuttosto consolidati come attività centrale dell’IT di un’azienda moderna, le cui pratiche e strumenti sono conosciuti e maturi.
Il software costruito sui dati ha perì cominciato a correre, se così si puì dire: i Fast Data, i dati in movimento, sono il futuro della competizione d’impresa. È diventato indispensabile utilizzare i dati in movimento, per creare nuove realtà di business, grazie al machine learning, all’interazione in tempo reale e allo sviluppo di nuovi, rivoluzionari, casi d’uso. Non solo grandi flussi di informazioni, ma dati raccolti, analizzati e sfruttati in tempo reale, quando il loro valore è massimo.
Per una visione più ampia su come sta evolvendo il mercato dei dati, vi consigliamo questo articolo, che affronta anche gli aspetti finanziari dell’evoluzione del mercato.
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